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Febbraio 6, 2021 0 Comments

IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI

IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI – GIORGIO BASSANI – EINAUDI 1962

“la realtà è che il tennis – sentenziò con straordinaria enfasi – , oltre che uno sport, è anche un’arte, e come tutte le arti esige un particolare talento, quella certa “classe naturale”, insomma, senza la quale niente, uno resterà sempre una “scarpa” vita natural durante.”

Romanzo uscito nel 1962 narra le vicende di un ragazzo ebreo che a causa delle leggi razziali viene espulso dal circolo di tennis della sua città e stringe amicizia con due suoi coetanei di una famiglia benestante ferrarese. Intorno al campo da tennis della loro villa, gli amici crescono, maturano, e si affacciano alla vita sociale, politica e amorosa

“La volta che mi riuscì di passarci davvero, di là dal muro di cinta del Barchetto del Duca, e di spingermi fra gli alberi e le radure della gran selva privata fino a raggiungere la magna domus e il campo da tennis, fu assai pù tardi, quasi dieci anni dopo.”

“Si era nel ’38, a circa due mesi da quando erano state promulgate le leggi razziali,…un pomeriggio, verso la fine di ottobre, pochi minuti dopo esserci alzati da tavola, avevo ricevuto una telefonata di Alberto Finzi-Contini. Era vero o no che io e “tutti gli altri” con lettere firmate dal vice-presidente e segretario del Circolo del Tennis Eleonora d’Este, Marchese Barbicinti, eravamo stati dimessi in blocco dal club: “cacciati via” insomma? … Se mi accontentavo di un campo di terra battuta bianca, ripeté, con scarso out, se, soprattutto, dato che io giocavo sicuramente molto meglio, mi fossi “degnato di fare quattro palle” con lui e Micol, ambedue loro ne sarebbero stati lieti e onorati.”

“Era un martedì. Non saprei dire perché di lì a pochi giorni, il sabato di quella stessa settimana, mi risolvessi a fare proprio il contrario di quanto mio padre desiderava. Escluderei che c’entrasse il solito meccanismo di contraddizione che induce i figli alla disobbedienza. A invogliarmi improvvisamente a tirar fuori la racchetta e i vestiti da tennis, che riposavano in un cassetto da più di un anno, forse non era stata che la giornata luminosa, l’aria leggera e carezzevole di un primo pomeriggio autunnale straordinariamente soleggiato.”

“Non ero stato il solo ad essere invitato. Quando, quel sabato pomeriggio, sbucai in fondo a Corso Ercole d’Este I provenendo da piazza della Certosa, notai subito che davanti al portone di casa Finzi-Contini sostava, all’ombra, un piccolo gruppo di tennisti. Erano quattro ragazzi e una ragazza, anch’essi in bicicletta: frequentatori abituali del Circolo Eleonora d’Este. Tutti, a differenza di me, erano già in perfetta tenuta di gioco. Indossavano sgargianti pullover, pantaloncini corti: soltanto uno ..portava calzoni lunghi di lino bianco e una giacca di fustagno marrone.”

“Fummo veramente molto fortunati, con la stagione- Per dieci o dodici giorni il tempo si mantenne perfetto, fermo in quella specie di magica sospensione, di immobilità dolcemente vitrea e luminosa che è particolare di nostri certi autunni. Faceva caldo nel giardino: quasi come se si fosse d’estate. Chi ne aveva voglia poteva tirare acanti a giocare a tennis fino alle cinque e mezzo e oltre, senza timore che l’umidità della sera, verso novembre già così forte, danneggiasse le corde delle racchette. A quell’ora, naturalmente, sul campo non ci si vedeva quasi più. Però la luce, che tuttora dorava laggiù in fondo i declivi erbosi della Mura degli Angeli, pieni specie la domenica, di follia lontana – ragazzi che correvano dietro al pallone, balie sedute a sferruzzare accanto alle carrozzine, militari in libera uscita, coppie di fidanzati alla ricerca di posti dove abbracciarsi -, quell’ultima luce invitava a continuare, a insistere in palleggi non importa se ormai quasi ciechi.”

“Eh sì – aveva detto allegramente Micol, mentre ancora stava passandosi un asciugamano di spugna sul viso accaldato – per gente come noialtri, abituata ai terreni rossi dell’Eleonora d’Este, sarebbe stato ben difficile ritrovarsi a proprio agio su quel loro polveroso campo di patate! E l'”out? Come avremmo fatto a giocare con così poco spazio alle spalle? Ahimè: in quale abisso di decadenza eravamo precipitati, poveri noi!”

“Era vero, da bambina aveva avuto per me un piccolo striscio: e chissà, forse era proprio questo che adesso la bloccava talmente nei miei riguardi. Io … io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore – così almeno, se lo immaginava lei – era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele del tennis! Da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi”

“Diversamente dall’autunno scorso Micol non era in shorts. Portava una gonna di lana bianca pieghettata, molto vecchio stile, una camicetta anch’essa bianca, con le maniche rimboccate, e strane calze lunghe, di filo candido, quasi da crocerossina. Tutta sudata, rossa in viso, si accaniva a lanciare palle negli angoli più remoti del campo, forzando i colpi; ma il Malnate, sebbene ingrassato e sbuffante, le teneva testa con molto impegno.”

“Ci eravamo seduti uno accanto all’altro sui gradini esterni della Hutte, e benché fossero già le otto ci si vedeva ancora. Scorgevo Perotti, in distanza, affaccendato a smontare e arrotolare la rete del campo da tennis, il cui terreno, da quando era arrivata dalla Romagna la nuova polvere rossa, non gli sembrava mai curato a sufficienza.”